Fragilità emotiva
Negli ultimi anni si è spesso parlato di resilienza, ma si è parlato meno spesso dell’altra faccia della medaglia: la fragilità emotiva.
La cronaca di tutti giorni racconta di eventi tragici e insensati, per cui sembra che molte persone abbiano perso il lume della ragione e non siano in grado di vivere civilmente nella società. E quello che ci si chiede è: perché accade questo?
Queste ondate di violenza insensata potrebbero rappresentare un’incapacità nel gestire frustrazione, rifiuti, difficoltà di varia natura o semplicemente un “no”, evidenziando un’elevata fragilità emotiva che ormai è all’ordine del giorno.
Cos’è e a cosa serve la resilienza?
Il concetto “resilienza” rappresenta la capacità di reagire in modo adattivo e funzionale agli eventi di vita. Questa è una capacità che tutti possono esercitare, sviluppare e potenziare e permette di tornare al proprio equilibrio emotivo, nonostante eventi stressanti, difficili o dolorosi. Infatti, la persona resiliente è in grado di superare più velocemente e con maggior successo le difficoltà che la vita gli propone, è in grado di sperimentare un ventaglio emotivo più ampio e, in particolare, di accedere più facilmente a sentimenti positivi (anche durante eventi stressanti) in maniera significativamente maggiore rispetto alle persone meno resilienti [25] – o fragili emotivamente.
L’aspetto focale della resilienza non è tanto quello di evitare lo stress o di attutirne l’impatto, quanto quello di velocizzare il recupero psicologico ed emotivo migliorando il benessere complessivo della persona e favorendo un atteggiamento positivo alla vita [25].
La resilienza è strettamente legata ai concetti di flessibilità psicologica, cognitiva ed emotiva: consente di avere maggior consapevolezza dei propri pensieri e delle proprie emozioni senza giudicarli, evitarli, negarli o esserne sopraffatti, di amplificare gli stati mentali positivi, le proprie risorse interne e di migliorare la percezione di se stessi e del mondo circostante. Infatti, l’uso consapevole e adattivo dei propri contenuti e dei sentimenti positivi favorisce il problem-solving, la percezione di autoefficacia, il senso di ottimismo e di speranza e influenza il setting mentale portando la persona a guardare le difficoltà come occasioni da sfruttare piuttosto che vederle come pericoli minacciosi. In altre parole, la resilienza influenza positivamente le reazioni allo stress, l’equilibrio psico-fisico, il recupero psicologico ed emotivo a seguito di eventi stressanti o traumatici e accresce l’adattabilità della persona, che sarà in grado di rispondere in maniera adeguata e funzionale agli eventi, tenendo conto delle circostanze, del contesto e dei propri obiettivi e valori. Inoltre, è un indicatore di salute mentale, di benessere complessivo e risulta essere un importante fattore protettivo nello sviluppo di disturbi psicologici [12, 25].
Cos’è la fragilità emotiva?
Come accennato, la fragilità emotiva è la controparte della resilienza e descrive la difficoltà nel gestire le proprie emozioni in maniera sana e adattiva; rappresenta la tendenza alla suscettibilità, a vivere frequentemente stati d’animo negativi e stress e la difficoltà a recuperare il proprio equilibrio psicologico ed emotivo a seguito di eventi stressanti o traumatici – o anche solo attivanti.
Il concetto di “fragilità emotiva” è strettamente connesso alla regolazione emotiva, ovvero al gestire e modificare le risposte emotive in maniera funzionale e adattiva, influenzando, di conseguenza, anche aspetti cognitivi, affettivi e sociali. Le strategie di regolazione emotiva aiutano lo stato emotivo partendo dagli aspetti antecedenti l’emozione (modificando contesti o situazioni che innescano una certa emozione), all’espressione emotiva (le qualità e le modalità d’espressione emotiva), fino ad arrivare agli aspetti successivi l’evento emotivo (modificare la reazione emotiva in atto) [10, 12].
Come si parla di resilienza o fragilità emotiva, si parla di strategie adattive o disfunzionali della regolazione emotiva. Le strategie adattive sono in grado di produrre una ristrutturazione cognitiva degli eventi e dei propri vissuti, incrementano la resilienza, migliorano l’umore e accrescono la capacità di gestire lo stress. Le strategie disfunzionali si legano all’evitamento emotivo, ad emozioni intense, negative e dirompenti, contribuiscono ad aumentare la fragilità emotiva e lo stress e possono concorrere nello sviluppo di problemi cognitivi (difficoltà di ragionamento, memoria e concentrazione), sociali (conflittualità, ostilità, isolamento e relazioni disfunzionali), affettivi (ansia, depressione, aggressività e violenza), fino al promuovere l’instaurarsi di varie psicopatologie [7, 8, 10, 12, 20].
Quali sono le cause della fragilità emotiva?
Come spesso accade nella psicologia, non esiste una motivazione univoca, piuttosto è la somma dei fattori di rischio ad incentivare una determinata problematica.
Possono essere rintracciate componenti genetiche, squilibri o disfunzioni elettrochimiche, anomalie nel funzionamento o nelle strutture cerebrali; tutti questi fattori possono aiutare a comprendere come la vulnerabilità di un sistema emotivo fragile si esprima e reagisca alle circostanze. Indubbiamente questi elementi rendono alcuni individui più vulnerabili di altri, tuttavia, è l’interazione individuo-ambiente che molto spesso determina una risposta piuttosto che un’altra. Infatti, nonostante le ricerche abbiano evidenziato numerose componenti genetiche e neurotrasmettitoriali, che possono esprimersi come peculiarità tanto funzionali quanto strutturali del cervello e della mente umana rispetto a numerosissime patologie psichiche, spesso è l’esperienza che facciamo del mondo a determinare le reazioni e i comportamenti più opportuni da imparare e sviluppare per la nostra sopravvivenza.
La prima importante interazione individuo-ambiente riguarda il legame genitore-figlio e la relazione di attaccamento che il bambino sviluppa nella prima infanzia [1, 3, 18].
Facendo una grande semplificazione possiamo individuare due tipologie di attaccamento: sicuro e non-sicuro – che in realtà includerebbe tre tipologie di attaccamento differenti: insicuro/evitante, insicuro/ambivalente e disorganizzato. Mentre il bambino che sviluppa un attaccamento sicuro da grande risulterà autonomo, indipendente, resiliente e in grado di formare relazioni sane, il bambino che sviluppa un attaccamento non-sicuro svilupperà una varietà di schemi mentali, reazioni emotive e risposte comportamentali potenzialmente problematiche [3, 18, 20].
La tipologia di attaccamento che sviluppiamo da bambini crea dei modelli operativi interni [3], o modelli di sè-con-l’altro [17], ovvero rappresentazioni mentali che ci permettono di percepire ed interpretare il mondo e gli accadimenti tanto interni quanto esterni guidandoci nella quotidianità. Questo “manuale di base” oltre ad operare sulle modalità interattive fin da bambini, influenza le capacità di regolazione emotiva. Infatti, è stato osservato come in età adulta gli attaccamenti non-sicuri si associno a varie problematiche psicologiche come ad esempio disturbi d’ansia, disturbi dell’umore e a vari disturbi di personalità [1, 18, 20].
È noto come eventi stressanti e traumatici siano in grado di disregolare il sistema emotivo. Trascuratezza fisica o emotiva, stati di isolamento, eventi umilianti, criticità familiari, esperienze di abusi, rotture affettive, lutti, perdita del lavoro, stati di povertà o di pericolo, stress cronico. Queste sono solo alcune delle possibili esperienze in grado di traumatizzare la persona disregolando il suo apparato emotivo e annientando il suo equilibrio psico-fisico. Inoltre, tanto più precoci, più intensi e più frequenti sono queste traumi, tanto maggiore sarà l’impatto che avranno sul malcapitato dirigendolo, in alcuni casi, verso traiettorie patologiche più o meno specifiche – dai diffusi disturbi d’ansia e dell’umore, fino ai più problematici disturbi di personalità – sfociando anche nella criminalità [4- 6, 9, 11-13, 15, 19, 21, 28].
Cosa può influenzare la fragilità emotiva oggi?
In questi ultimi anni ci siamo trovati a dover far fronte a gravi problemi. Alcuni avvenimenti per quanto forti e traumatici non ci hanno toccato direttamente – ma ciò non significa che non abbiano avuto un impatto –, altri invece hanno colpito tutti indistintamente.
Per quanto ci possa sembrare lontana, la convivenza con la pandemia ha avuto una grande influenza sulla nostra salute e i suoi effetti non sono stati immediati, hanno avuto bisogno di tempo per incubare, accrescere ed esprimersi. Infatti, come ho discusso in altri articoli, alcune problematiche di salute psicologica si sono accentuate e alcuni comportamenti disadattivi si sono sparsi a macchia d’olio anche tra i più giovani. Inoltre, l’isolamento forzato ha incentivato l’uso dei mezzi tecnologici: videoconferenze, didattica a distanza, videochiamate e social sono stati un mezzo necessario per continuare a vivere normalmente una quotidianità anomala. Tuttavia, questi strumenti hanno tagliato fuori alcuni aspetti fondamentali: il contatto, la presenza, il confronto diretto, tutto ciò che ricade nella comunicazione non verbale – quel 97% circa delle interazioni umane. Temo che i più giovani, ancora inesperti a certe esperienze e in diritto di sperimentare tutti questi aspetti umani, per anni – anni importanti della crescita – siano stati privati di questa possibilità producendo effetti negativi sul loro sviluppo tanto individuale, quanto sociale ed emotivo.
Come abbiamo visto durante la pandemia, i social possono favorire il benessere emotivo, fornendo una continuativa connessione sociale, supporto emotivo e un senso di comunità, specialmente in persone isolate (fisicamente o emotivamente) o con difficoltà interpersonali, offrendo anche risorse educative e gruppi di supporto. Tuttavia l’uso eccessivo o disfunzionale di questi strumenti è in grado di incrementare il malessere psicologico generale. I motivi per cui l’uso dei social può aumentare la fragilità emotiva sono molteplici e sembrerebbe che gli adolescenti e i giovani adulti siano quelli più suscettibili a questi effetti negativi per via del loro non consolidato sviluppo emotivo e identitario [2, 23, 27].
La continua esposizione a ideali di bellezza – spesso filtrati e non realistici –, l’ostentazione di stili di vita idealizzati, l’apparente senso di felicità e di successo, il continuo scrollare tra i contenuti – spesso polarizzati dall’algoritmo – e il flusso di notizie di ogni tipo può creare numerose problematiche: sentimenti di insoddisfazione corporea, emotiva e personale, cyberbullismo, ansia, depressione, insicurezza, inadeguatezza, isolamento fisico e virtuale, solitudine, invidia, impotenza, angoscia; ma anche dipendenze digitali, disturbi del sonno e dell’attenzione, disturbi alimentari, disturbi d’ansia e dell’umore, stress emotivo e psicologico generalizzato. Infatti, il continuo confronto mediato dai social molto spesso spinge i giovani a ricercare validazione e approvazione sociale usando come metro di giudizio like, commenti e followers, delegando a terzi la percezione di se stessi, il proprio senso di identità e di valore. Inoltre, nonostante si possa avere una grande rete sociale nel mondo online, questa presenza di facciata è spesso caratterizzata da interazioni superficiali e dalla mancanza di relazioni profonde e autentiche, creando una ancor maggiore dispercezione di se stessi e dei legami umani [2, 16, 22-24, 26, 27].
La cultura narcisista nella quale ci ritroviamo a vivere ben si affianca all’uso dei social, dando un’eccessiva importanza agli aspetti superficiali della vita: l’apparenza mediata dalle vetrine social, il lusso come misura del valore di una persona, l’intensa concorrenza e confronto sociale e la superficialità nel proprio apparire, del proprio senso di sé e dei legami sociali e affettivi. Tutti questi aspetti rischiano di minare il proprio senso di integrità individuale, le relazioni sociali autentiche, il senso di comunità e i valori personali, collettivi e morali [16, 22-24, 26, 27], arrivando anche a promuovere modalità fittizie, fraudolente, promiscue e violente.
Risulta evidente che la fragilità emotiva rappresenta un problema importante nella nostra società. Oltre a ledere il benessere della persona, dal momento che può innescare modalità anticonservative (dipendenze, autolesionismo e suicidio) e psicopatologie (come disturbi d’ansia, disturbi dell’umore, disturbi di personalità), rappresenta un problema di ordine sociale e di perdita di valori e, come stiamo vedendo dalle cronache odierne, può rappresentare anche problema di ordine pubblico sfociando in condotte disadattive o in vera e propria violenza, arrivando a toccare anche la sfera giuridico-penale.
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